Il mondo è pieno di viaggiatori, tutti in cerca della loro strada e del loro sentiero. Viaggiatori diversi gli uni dagli altri ma con una caratteristica comune: vedere da vicino tutte le bellezze del pianeta.
Davide Travelli è un cicloviaggiatore da agosto 2015, vive grazie a delle donazioni volontarie, all’ospitalità di chi incontra e con un budget per il viaggio che varia dai tre ai cinque dollari al giorno. E’ partito dall’Alaska con l’obiettivo di attraversare il continente americano in bici, ed è per questo che il nome di quest’avventura incorpora appunto l’Alaska e la Patagonia, rispettivamente punto di partenza e di arrivo. Oltre a pedalare Davide ha in atto due collaborazioni con delle no-profit, ha fondato un club di cartoline e non ha nessuna intenzione di fermarsi.
– Di cosa ti occupavi prima di partire? Malgrado avessi già quest’idea in mente, c’è stato un momento o una circostanza particolare che ti ha spinto a intraprendere questo viaggio?
Fin da bambino ho sempre sognato di viaggiare, da quando ho letto Giro del mondo in 80 giorni a quando poi, da adolescente ho amato gli scrittori della lost e big generation e soprattutto Jack London con The road e Jack Kerouac con On the road. Oltre loro, ho scoperto anche gli scrittori sud americani come Marquez o Isabel Allende. Ed è anche per questo che crescendo, per me, il continente americano è sempre stato la location dei sogni. Immaginavo come potesse essere l’America e come si potesse vivere là. Ero molto incuriosito dalla Panamericana, la strada che l’attraversa e che unisce tutto il continente; inzialmente pensavo di attraversarla con un veicolo e insieme ad amici con cui avrei condiviso i costi; ma questi viaggi così lunghi sono complicati da fare con tante persone, oltre che molto onerosi e impegnativi da affrontare con un auto. Una volta c’era stata nell’aria la possibilità di fare qualcosa del genere con un amico venezuelano; avremmo dovuto attraversare la Panamericana in moto ma non si fece nulla perchè nel frattempo che si organizzava, il mio amico aveva trovato una compagna e un lavoro.
Ripeto, ho sempre avuto l’idea di partire, ma l’evento scatenante che mi ha fatto decidere definitivamente si è verificato l’estate prima della mia partenza. Avevo l’abitudine di andare a Roseto degli Abruzzi da amici venezuelani; nel bagaglio mi sono portato dietro alcuni libri che parlavano di bici e di viaggi in bici (la bici è un’altra mia passione, che ho ereditato da mio padre e che mi ha permesso di praticare ciclismo agonistico per tredici anni). Leggendo quei libri e appassionandomi ulteriormente, ho deciso di non aspettare più e mi sono detto “la prossima estate parto e attraverso l’America in bici”. Il momento era quello, prima di diventare troppo vecchio. Inoltre, i costi per attraversarlo in bici sarebbero stati molti meno rispetto a quelli che avrei dovuto affrontare con un auto.
Prima della mia avventura vivevo a Dublino ma facevo la spola tra l’Italia e Irlanda; collaboravo con le aziende per aiutare a sviluppare il mercato estero e italiano.
– Sei partito dall’Alaska. Ricordi le sensazioni di quel giorno?
Mi ricordo le sensazioni prima di partire dall’Italia. Gli ultimi giorni son stati frenetici e drammatici. Avevo lasciato troppe cose all’ultimo momento e la situazione era un po’ overwhelming. Avevo paura perché in Alaska stava cominciando l’inverno e non mi sentivo pronto; ma ormai avevo messo in moto una macchina che non si poteva fermare, e alla fine sono partito, nonostante l’ultimo giorno stessi ancora finendo di preparare i bagagli e nonostante mi mancasse qualcosa di tutto quello che avevo ordinato su internet.
Purtroppo poi durante il volo mi hanno danneggiato la bici, e quindi mi sono dovuto fermare una notte in più a Pedro Bay. E’ stato pesante solo economicamente, perché per il resto mi ha permesso di avere ventiquattro ore in più per ambientarmi per poi partire.
Il giorno dopo, ricordo di essere partito tardi, intorno alle due del pomeriggio, con la pioggia e con il potenziale pericolo di un grizzly nei paraggi. Ma avevo molta adrenalina in tutto il corpo: era tutto nuovo, e avevo davanti a me molte ore di luce. Ho pedalato fino alla mezzanotte. Sì, ricordo molta adrenalina.
– Nel tuo blog racconti di diverse avventure poco piacevoli. Come qualche aggressione e la permanenza di sei settimane in Ecuador per un’ernia del disco. Hai dovuto affrontare qualcos’altro? Qualche aneddoto simpatico?
Mi dispiace che nel blog siano citati più aneddoti spiacevoli (non è così, sono io che sono curiosa e ho posto questa domanda n.d.r), in effetti forse dovrei scrivere di più, ma purtroppo mi porta via molto tempo perché ogni volta che scrivo un pezzo prima lo faccio in italiano rivedendolo per diversi giorni, poi lo traduco in inglese e lo mando a degli amici madrelingua perché gli diano un’occhiata, e infine scelgo una foto da editare e postare. Rimedierò con avventure simpatiche!
Ma una cosa che dico sempre è che noi guardiamo i telegiornali, i giornali e ci sono sempre notizie negative: omicidi, terrorismo, stupri. A me in realtà dall’Alaska alla Patagonia mi hanno aiutato tantissime persone, e il fatto che siano successe cose negative come l’assalto che ho subito nel deserto della Guajira in Colombia, sminuiscono la realtà dei fatti, perché il 99,9% della popolazione è di animo buono ed è sempre pronta ad aiutarti; e anzi, molto spesso la gente che ha meno aiuta molto più di quella che possiede qualcosa in più. E poi sì, è capitata quell’ernia discale in Ecuador, da cui mi sono ripreso anche stando in Perù, ospitato nella foresteria dell’Istituto di cultura di Lima. Ci sono tanti aneddoti simpatici e sono tutti legati alle persone che ho incontrato e che mi hanno cambiato la vita. Può essere il nomade che da quasi trentacinque anni viaggia a piedi in compagnia di tre muli (anzi ora ne ha uno perché uno purtroppo è morto e l’altro lo ha lasciato in una fattoria) nel west degli Stati Uniti, e sono tutte le persone che mi hanno aperto la mente a stili di vita nuovi e diversi da quelli a cui siamo abituati, e che la società e il sistema spesso ci impongono.
Ci sono tante persone che decidono di vivere in modo diverso, come alcuni artisti sud americani che ho conosciuto e che viaggiano per anni, senza soldi. E’ qualcosa che per noi è difficile da processare.
Gli aneddoti sono tanti, ad esempio anche l’altro giorno non ho trovato nessuno che mi ospitasse a El Calafate: ho pedalato tantissimo, e continuavo a non trovare un posto dove piazzare la tenda. Ha iniziato a piovere tantissimo e ho fatto una cosa che solitamente non faccio mai: tornare indietro, ma fortunatamente solo per pochi chilometri; alla fine ho trovato uno spazio e mi sono accampato per la notte. Il giorno dopo ho conosciuto una coppia di ciclo viaggiatori austriaci con cui ho passato la giornata. Sono le storie di tutti i giorni. Ad esempio anche in Cile ho incontrato un gruppo di ciclo viaggiatori che aspettavano una barca per arrivare in Argentina: erano tantissimi, quasi settanta, ma la barca aveva solo quattordici posti.
E’ in Cile stesso che ho deciso di avventurarmi tra le montagne e passare la frontiera nel Paso Majer, dove non ci transita quasi mai nessuno. Infatti ho dovuto passare in strade private aprendo e chiudendo cancelli, perché non c’è un cammino vero e proprio; ho perfino attraversato un fiume in una passerella costruita per il passaggio delle pecore, smontando la bici e portandone un pezzo alla volta, assieme alle borse. E la cosa che mi ha fatto sorridere è stata che alla gendarmeria, nella parte argentina del Paso, quando ho fatto le pratiche per il passaporto mi hanno detto che nessuno passava da lì da tanto tempo. Anche in quel caso mi hanno aiutato e fornito una stanza dove rifocillarmi e asciugarmi dopo l’attraversamento del fiume.
– Hai fondato un club di cartoline, quante ne hai realizzate?
Il club di cartoline è un club sui generis. All’inizio avevo deciso di fare una sottoscrizione al mese con un prezzo stabilito. Ora il prezzo è su base volontaria e non ho più fatto la sottoscrizione mensile perché richiede tempo. Le donazioni le utilizzo anche per la carta, gli acquerelli e i francobolli, insomma i costi di spedizione. Di solito realizzo una cartolina per ogni paese che attraverso; ho iniziato in Ecuador, poi le ho fatte anche in Perù, a Santiago del Cile e ora ne farò sull’Argentina. Ci sono persone da cui ho avuto anche delle donazioni discretamente importanti; ed è a queste persone che continuo a mandare cartoline lo stesso. È un qualcosa che mi sembra simpatico, e che secondo me aiuta a rendere più partecipi le persone che seguono la mia avventura. E’ un contatto che va oltre al semplice commento social o a quello via mail. E’ un qualcosa che coinvolge di più chi mi sta aiutando nel viaggio.
– Dove ti trovi in questo momento? Prossima meta?
In questo momento mi trovo in Patagonia, nella parte molto a sud, precisamente a El Calafate. Proprio in questi giorni ho visto il ghiacciaio Perito Moreno. Ora passerò un’altra volta in Cile, verso Torres del Paine e Puerto Natales.
Nella citta di Punta Arenas finisce il viaggio del continente Americano, e vedrò come fare. Se iniziare subito un nuovo continente, è un po’ complicato.
– Da quanto tempo manchi da casa e come vivi la condizione di star sempre in viaggio? Dopo aver attraversato tutti i continenti pensi di tornare mai alla vita di prima?
Manco da casa dal 12 agosto 2015 e ho avuto l’opportunità di vedere i miei genitori a Santiago del Cile a settembre scorso, dopo due anni.
Sto vivendo il viaggio, e sono molto grato per tutto il supporto e l’aiuto che sto ricevendo. Mi sembrerebbe un sacrilegio o un peccato dire che mi manca qualcosa dall’Italia, o che mi manca casa, o che vorrei essere lì. C’è gente che magari fa dei sacrifici, che lavora dalla mattina alla sera e mi manda qualche donazione, e quindi mi sembrerebbe di essere ingrato dicendo che mi manca qualcosa. Non mi manca niente. Ci sono dei periodi dove anche io sono stressato, perché comunque vivere alla mercè di tutti i giorni può essere difficile quando fa freddo, quando piove o fa vento; e ci sono quei giorni in cui, dopo che magari hai viaggiato sempre con la pioggia pensi “vorrei essere nel mio letto”. Però son pensieri che davvero, mi vengono in mente una volta o due ogni tre mesi, e soltanto per cinque minuti.
Non penso di tornare alla vita di prima, sarebbe difficile tornare a fare quello che facevo e sarebbe un’involuzione perché un viaggio così in lungo e largo, un’avventura come la mia, ti cambia come persona e ti cambia la vita.
Questo viaggio è un’evoluzione accelerata su quello che potrebbe essere lo sviluppo personale di una persona!
Per chi volesse seguire l’avventura di Davide sono a disposizione il suo sito e la pagina instagram
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