Lampedusa, l’isola della memoria

Lampedusa, lentezza, riflessioni

L’idea di un’isoletta lunga circa 10 km e larga quasi 4 si è materializzata quando è apparso il minuscolo aereo su cui dovevamo imbarcarci. Era semivuoto, non li ho contati ma i posti non dovevano superare la cinquantina.

Chi va a Lampedusa nel mese di gennaio generalmente è uno studente per una tesi, qualcuno che si occupa d’immigrazione o qualche lampedusano in visita alla propria famiglia. Essere isolani non è un modo di vivere che tutti possono comprendere, essere isolano comporta sacrifici e un modo di vivere differente da chi vive, come dicono i siciliani, “nel continente”. Un’isola è un mondo a sé e per quanto possa fare parte di uno stato, rimarrà un pezzetto di terra isolato con le sue regole e il suo proprio modus vivendi.

Il tragitto aereo da Palermo dura un’ora e le turbolenze ci hanno fatto compagnia per tutto il viaggio. Bisogna ammettere che, a tratti, si sentivano quei vuoti di aria che lasciavano risalire il cuore in gola mentre gli scossoni agitavano il piccolo aereo. Solitamente non ho timore degli aerei, ma quando sono piccoli sono delle vere esperienze di coraggio.

L’estetica lampedusana e la volontà del mare

All’uscita dell’aeroporto ci aspettava Enrico con il suo pandino verde. Enrico è il proprietario della casetta che avevamo affittato, lampedusano d’adozione e catanese d’origine, prima di portarci a casa, ci ha mostrato rapidamente il centro e il porto di Lampedusa. Non è la classica isoletta con case dipinte di vari colori o imbiancate periodicamente, sembra infatti essere sporadica la manutenzione esterna delle abitazioni. Gli edifici sono di un intonaco sbiadito attraversato da molteplici crepe che sembrano fiumiciattoli che si separano dal fiume principale. In alcuni punti mancano pezzi di intonaco, qualcuno potrebbe pensare che sono trasandate, qualcun altro che siano trascurate e qualcuno, non lampedusano d’origine, dubita sul gusto estetico dei nativi.

Un tempo, Lampedusa era un’isola che viveva di pesca e la routine degli abitanti ruotava intorno a questa attività. Un’attività fisica, pericolosa e non sempre certa. Il mare decide, dipende dal suo umore, dai giorni, dal vento e dal coraggio dei pescatori che quando partono rimangono in mare, spesso, intorno alle 48 ore, così ci svelava un pescatore, 48 ore sotto al sole o all’ombra delle nuvole, oscillati dalle onde, alle volte dolci, alle volte delle montagne russe acquatiche.

Ai margini dell’Europa

Lampedusa, lentezza, riflessioni

Porta d’Europa è come, oramai, viene definita Lampedusa, soglia d’entrata dei confini europei, che non sarebbe definita tale se non fosse che un enorme flusso di migranti tenta ogni giorno di realizzare quei sogni di speranza di una vita dignitosa, come del resto ogni essere vivente vorrebbe. La Porta, il monumento, è un segno che riporta al presente i sintomi di un passato non risolto, è per ricordare tutti quelli che hanno lottato contro la morte in mezzo al mare ma che alla fine non ce l’hanno fatta.

Delle migrazioni, della fama e del turismo

La curiosità che ci aveva portato sull’isola era conoscere la cosiddetta Porta d’Europa attraverso le vicende di chi la abita da sempre e di chi ha deciso di passarci un tempo.

Grazie al maltempo dei primi giorni, siamo rimasti bloccati in un fruttivendolo dove abbiamo fatto amicizia con l’ex macellaio del paese, un uomo disponibile e solare, orgoglioso della sua terra e un cantastorie a tutti gli effetti.

Dopo l’interrogatorio iniziale per capire con chi avesse a che fare, ci svela l’immensa diffidenza, più volte confermata, che i lampedusani hanno nei confronti degli immigrati di origine tunisina. L’isola, infatti, è più vicina alle coste tunisine (133km) che a quelle italiane (205km), di conseguenza l’immigrazione tunisina, in particolare dal 2011 in seguito alla frattura politica causata dalle Primavere Arabe, ha raggiunto flussi consistenti e costanti. Effettivamente così la gente rispondeva alle nostre domande sui migranti, i tunisini entrano nelle case abbandonate dai proprietari durante l’inverno e ne fanno la loro casa, le devastano e compiono atti vandalici, al contrario, gli africani (intendendo i migranti subsahariani) sono persone tranquille, non fanno del male a nessuno e non rovinano nulla, il problema sono i tunisini. Anche il fruttivendolo sembrava essere d’accordo con ciò che raccontava l’ex macellaio e a mano a mano che entravano gli abitanti del luogo, aggiungevano storie di sbarchi e di episodi avvenuti sull’isola.

C’era una questione, però, che era sulla bocca di tutti, una scelta politica, quella salviniana. La maggior parte degli abitanti in cui ci siamo imbattuti in questo viaggio era convinta della propria scelta, nella speranza di ottenere una svolta per la propria isola: che non sia più terra di sbarchi, che non sia più lasciata sola ad affrontare “un’emergenza del genere”, così definita dai lampedusani.

Lampedusa, lentezza, riflessioni

Come in tutte le vicende umane, però, c’è sempre un altro lato della medaglia. Un lato positivo, che aveva apportato all’isola un’immagine della stessa diffusa e conosciuta tanto da incentivare studiosi, giornalisti, ma soprattutto turisti a visitare l’isola. È proprio questo il lato positivo, o negativo dipende dalla prospettiva, il turismo di massa che si sostituisce alla pesca, un tempo attività principale dell’isola. Improvvisamente, qualche anno fa, il turismo è piombato in questo pezzetto di terra, nel passato abbandonato a sé stesso a causa della mancanza di alcuni servizi basici. Non che attualmente ci sia tutto: quando siamo entrati nel poliambulatorio per chiacchierare con il dottor Bartolo era appena mezzogiorno e già mancava l’acqua da circa 3 ore.

Ricordare i nomi è un atto di umanità

Nel lato ponente dell’isola ci avevano detto che avremmo trovato un cimitero di barche consistente in un ammasso di imbarcazioni, di ogni dimensione e colore, messe una sopra l’altra in maniera del tutto disordinata.
Lampedusa, lentezza, riflessioni, barche ammassateCon un silenzio spontaneo abbiamo girato tra i relitti, a volte piegandoci ed intrufolandoci in alcuni buchi per passare da una parte all’altra, scavalcando vestiti e scarpe sparse per terra. Era come un labirinto, si entrava in un buco tra le barche e, uscendo, un altro muro di barche si alzava. E ciò che era più agghiacciante era un marchio che ogni barca portava sulla prua, una data che, probabilmente era la data di arrivo sull’isola.

foto della barca gialla con la data a prua, Lampedusa
Nonostante fossimo in un cimitero, si percepiva la fortuna che avevano avuto tutte quelle barche per il semplice fatto di essere lì e aver meritato per qualche misteriosa ragione divina di essere approdate e di non essere scomparse e affondate. Il pensiero che stimolava quello scenario era immaginare quante persone ogni barca avesse trasportato e alle spalle di ogni persona una storia, un paese e una famiglia.

Lampedusa, lentezza, riflessioni
Ed è proprio questo il vuoto che cerca di riempire il Forum Lampedusa Solidale (FLS), un collettivo di persone locali e non, nato dall’esigenza di mediare tra la comunità accogliente e i migranti che giungono. Un collettivo aperto a chiunque voglia dire la sua, a chiunque voglia essere parte attiva di un movimento che lotta per l’umanità, per la memoria e la dignità dei corpi dei migranti seppelliti nel cimitero di Lampedusa.

L’impellente necessità è di restituire un’identità alle migliaia di persone morte in mare, perché, come ribadiva Paola, attivista politica del collettivo, “ricordare i nomi è un atto di umanità”.

Lampedusa, lentezza, riflessioni, Welela
Ogni tomba una targa ed ogni targa un nome, se recuperato, ed ad ogni nome una storia che Paola, mentre ci guidava in una passeggiata nel cimitero, ci raccontava. Lei stessa narrando viveva nuovamente quei momenti, quelle giornate traumatiche in cui le erano rimasti impressi i dettagli di ogni storia: la data del decesso, la causa della morte e il vissuto delle persone che il Forum Lampedusa Solidale si impegna di ricercare attraverso i compagni di viaggio sopravvissuti e parenti lontani.

Concludo ringraziando, perché è stata una delle passeggiate più emozionanti che abbia mai fatto.

About Rosalinda Maresca 3 Articles
Nata a Roma, cresciuta con un tocco di napoletanità e nel sangue l'appartenenza al sud d'Italia e del mondo; Viaggiare è una dipendenza data dalla curiosità verso le culture altre. Sempre alla ricerca di ciò che è naturale nelle persone, nel cibo, nei luoghi e nella vita. Adoro ascoltare le storie della gente. Ogni cosa ha i suoi tempi e rispettarli porta sorprese inaspettate.

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