Viaggi lenti in Perù: Huaraz e la Cordillera Blanca (seconda parte)

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Viaggi lenti in Perù: Huaraz e la Cordillera Blanca

[Leggi qui la prima parte]

Ci alziamo alle 4 senza troppi problemi, infiliamo zaini e scarponcini da trekking nel buio del dormitorio e troviamo effettivamente, fuori dall’ostello, un minivan gremito di turisti che ci sta aspettando. Facciamo il giro dei vari ostelli ed hotel a caricare altre persone, com’è consuetudine nei tour di una giornata in Perù, e finalmente ci mettiamo in marcia verso il Parque Nacional de Huascaran

E’ una mattinata fredda e umida, strofiniamo il vetro del mini-bus e fuori si vede ancora una timida luna.

I turisti sono quasi tutti stranieri, alcuni parlano in ebraico tra loro e si rivolgono in ebraico pure a me, convinti per qualche assurdo motivo che io sia israeliana. 

Dopo qualche ora di viaggio, in cui guardo fuori dal finestrino con gli occhi sgranati come una bambina, raggiungiamo il distretto di Yungay

peru, slow travelIl cielo è già chiaro e fa un freddo tremendo quando facciamo la prima tappa, per fare colazione. Ci fermiamo in uno spiazzo all’aperto dove servono cibo e bevande calde. Fa talmente freddo che devo infilarmi i guanti, ci sono persone con i giacconi dell’inverno, sciarpa e cappello, ma voglio pensare che siano turistas limeños, esagerati. Ci sono tantissimi viaggiatori pronti ad iniziare il loro trekking, la colazione si trasforma in un’impresa: prima si ordina e lascia il proprio nome, poi quando l’ordine è pronto i camerieri vagano nella folla disordinata alla ricerca della persona corrispondente. Una specie di gigantesco, disorganizzato, Starbucks a cielo aperto.

Riusciamo finalmente a mettere le mani sulla nostra colazione, mangiamo dei panini con l’uovo fritto e beviamo l’ennesimo mate de coca, con la solita speranza di trarne beneficio.

 

Parque Nacional de Huascaran

Ripartiamo ed entriamo nel Parque Nacional de Huascaran. Io e Charaf speriamo di pagare la tariffa nazionale, spieghiamo che viviamo in Perù, mostriamo il visto da cooperanti, ma non c’è niente da fare: ci tradisce il passaporto italiano e ci fanno pagare il prezzo per turisti stranieri.

Poco dopo, ci fermiamo per la nostra seconda, breve tappa: la Laguna Llanganuco. Meraviglia: scendiamo dal minivan per ammirare l’azzurro della laguna e scattare qualche fotografia, poi ripartiamo alla volta di Cebolla Pampa, dove inizia la camminata vera e propria.

Abbiamo una guida, ma solo in teoria: la perdiamo di vista quasi subito e poco dopo essere partiti il gruppo con cui siamo arrivati in minibus si sfalda. Chi è allenato e corre avanti, chi rimane molto indietro.

Fin dall’inizio l’impresa si presenta più ardua di quanto mi aspettassi: l’altitudine si fa sentire, il fiato si fa corto, i passi pure.

A un certo punto decido di andare al mio ritmo e lasciare andare avanti Charaf, proseguo poco a poco, per forse un’ora, ma ad un certo punto inizio a non sentirmi bene. Provo a scrivergli un sms, “Mi aspetti?”, ma rimane salvato nelle bozze del cellulare, perché ovviamente non c’è campo. Mi spazientisco e nella fretta di raggiungerlo inizio a camminare troppo veloce su una salita troppo ripida.

Le gambe si fanno sempre più molli, la testa pesante, respirare in quell’aria rarefatta diventa quasi impossibile. Ho ricordi confusi dei momenti successivi, ricordo di essermi seduta per terra al lato del sentiero, ed il ricordo successivo sono un paio di occhi verdi che mi scrutano le pupille tenendomi un occhio aperto con due dita: ho perso conoscenza, sono sdraiata a terra, qualcuno mi ha infilato in testa un cappellaccio di lana per scaldarmi. Provo a sollevarmi, una signora sconosciuta mi sta offrendo, o letteralmente versando in bocca, del mate de coca dal suo termos. E lui, Felix, mi sta scrutando con uno sguardo analitico e leggermente preoccupato. E’ una guida alpina di Huaraz, e le persone che mi stanno assistendo fanno parte del gruppo che sta guidando.

Piano piano mi riprendo, mi dicono di fermarmi, che quello è l’unico sentiero e il mio amico prima o poi tornerà indietro, o di tornare a Cebolla Pampa, ma io decido di proseguire, piano. Il gruppo di Felix va a un buon passo. Ogni tanto li incrocio di nuovo, li supero, mi raggiungono, resto indietro. Finché mi trovano seduta per terra, nuovamente stremata, e Felix, che parla benissimo italiano, mi si siede accanto ed inizia a farmi un discorso che ricorderò per sempre. Il succo del discorso è il seguente:

“Non devi seguire un’andatura finalizzata a raggiungere qualcuno, o qualcosa. Devi andare al tuo ritmo, al passo che ti permette di stare bene e raggiungere la tua personale destinazione”.

Mi invita a proseguire il trekking con il suo gruppo, mi toglie peso dallo zaino e lo carica nel suo, mi presta i suoi bastoni da trekking, e proseguiamo. Riprendo poco a poco colore, nelle parti più ripide non parlo, ma quando siamo in piano chiacchiero allegramente con Felix e con la sua combriccola di mezza età che mi sprona a proseguire. 

Mi incontra così Charaf, che è tornato indietro a cercarmi: chiacchierando con un gruppo di peruviani come se nulla fosse. Felix, durante la camminata, ci ha invitati a casa sua l’indomani, giorno di Pasqua, per festeggiare il suo compleanno insieme ad altre guide andine. Mi consegna letteralmente al mio amico con cui proseguo la camminata, non senza difficoltà. Ci fermiamo ancora varie volte lungo il cammino perché a me manca il fiato, più saliamo in quota e meno riesco a respirare. Quando manca pochissimo piango e mi dispero stringendomi il petto con le mani perché mi sento mancare l’aria, incontriamo alcune persone del nostro gruppo che stanno discendendo, ma io, testarda, voglio proseguire.

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Destinazione

L’emozione è forte quando arrivo a destinazione: davanti a noi si staglia una laguna di un turchese potente che contrasta con il grigio della roccia e la neve dei ghiacciai circostanti, a 4600 metri di altitudine: ce l’abbiamo fatta. Faccio un giro a 360 gradi su me stessa per poter abbracciare con gli occhi tutta la bellezza che mi circonda, e incrocio lo sguardo attento di Felix, che mi sorride. ‘Valentina ce l’ha fatta!’ sento giubilare uno dei signori del suo gruppo. Ho raggiunto, al mio passo, la mia destinazione.

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Ora, però, tocca già ritornare.

Il ritorno

Sono abituata alle camminate sulle montagne bergamasche, e la discesa è sempre stata una passeggiata rispetto alla salita. Questa volta, mi devo ricredere. Se possibile, la discesa risulta un incubo ancora peggiore: scendendo, il mal di testa si fa insopportabile, la stanchezza s’impossessa di me, lacrime rigano il mio volto. La voce di Felix, sempre presente, mi ripete: Valentina, non dormire.

La guida del nostro gruppo affronta la discesa con noi por fin, e io mi fermo varie volte lungo il cammino perché mi sento male. Arrivo ad avere delle allucinazioni, le guide continuano a chiedermi dati base come il mio nome, la mia età, da dove vengo, forse per assicurarsi che io non cominci a delirare.

Charaf è rimasto indietro questa volta, ma non ho l’energia né la lucidità per rendermene conto. Continuo a camminare per inerzia, piangendo, con le guide che mi affidano all’una o all’altra guida come fossi un sacco di patate. La guida del mio gruppo mi toglie lo zaino e si avvia  a valle, dice che lo lascerà nel minibus. Gli lascio fare, non ho forze per oppormi. Sono con una nuova guida ora, non ricordo più il suo nome. Felix non c’è più, Charaf nemmeno. Quando me ne rendo conto, insisto per fermarmi ad aspettarli, per tornare indietro, ma la guida che mi accompagna è ferma e decisa: nelle condizioni di salute in cui verso, la mia priorità è assicurarmi di portare il mio culo fino in fondo al cammino.

Protesto, insisto un po’, ma mi mancano le forze e con le gambe molli proseguo, un passo dopo l’altro. Charaf mi raggiunge quando ormai siamo all’altezza del minibus, ha il volto provato ma non mi dice nulla, gli altri viaggiatori sono spazientiti perché hanno dovuto aspettarci a valle per molto tempo, ci infiliamo nel bus, in due posti distanti tra loro. Mi sento male per tutto il viaggio, Charaf pure, ma non abbiamo modo di comunicare. La ragazza israeliana mi dà una bomboletta di ossigeno e una medicina per il mal di testa, si assicura per tutto il tragitto che io non mi addormenti e quando chiudo gli occhi mi da scossoni per non farmi dormire. Arriviamo a Huaraz stremati, stanchi e arrabbiati senza la forza di comunicare e raccontarci tutto quello che abbiamo sentito quel giorno, con troppe cose ancora da elaborare.

peru, slow, lentezza, viaggi lenti, viaggi in solitaria, donne in solitariaL’indomani rinunciamo a fare ulteriori escursioni, prendiamo la giornata con calma: la mattina ci imbattiamo per caso nella messa di Pasqua celebrata all’aperto nella piazza principale, poi prendiamo una combi, trasporto locale, fino ad un paesino per nulla turistico dove vive Felix, la guida che ci ha invitati a pranzo. Per raggiungere la casa ci inerpichiamo in un sentiero in mezzo ai campi, finché il nuovo amico peruviano apre un cancello e ci si para davanti la sua casetta adorabile in mezzo alla natura. Troviamo in cucina alcune sue amiche intente a preparare il pranzo, io mi unisco a loro sgranando mais e mi sento istintivamente subito a casa, c’è un camino acceso e un cagnolino che passeggia indisturbato, sento che stiamo vivendo qualcosa di autentico che non si trova sulle guide di viaggio.

Pranziamo con Felix e il suo gruppo di amici all’aperto, nel giardino, poi ci ritiriamo dentro casa vicino al camino quando inizia a piovere forte (siamo ancora nella stagione delle piogge). Ad un certo punto decidiamo di aver passato lì abbastanza tempo e che è ora di tornare a Huaraz, facciamo il viaggio di ritorno sotto la pioggia battente e ci rintaniamo nel nostro ostello anche se abbiamo già fatto il check-out. Passiamo il pomeriggio nella sala comune dell’ostello a guardare la pioggia cadere contro i vetri, aspettando l’ora di prendere il nostro bus di ritorno a Lima.

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Ho fatto del viaggio alternativo uno stile di vita: zaino in spalla, la mia tenda, autostop, couchsurfing e, ogni tanto, anche qualche ostello. Amo molto partecipare a scambi e progetti di volontariato, soprattutto progetti europei. Quando viaggio, cerco di interagire il più possibile con le persone del posto. Con viaggiareconlentezza.com condivido le mie avventure di viaggio lente.

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