Esperienza di vita in una derga Sufi in Germania -il racconto di Francesca

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Siamo tutti alla ricerca di un significato capace di dare senso alla nostra esistenza.

La verità, dal mio punto di vista, è che nasciamo in una società già organizzata e ci ritroviamo a vivere una vita che in molti casi non ci siamo scelti noi: ce la siamo trovata, ecco.

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E quindi siamo tutti diversi, ed il mondo è bello perché è vario, si sa… C’è chi, per trovare quel senso, si dedica a tifare una squadra di calcio, chi a bere fino a dimenticarsi la domanda, chi si dà all’avventura di una o molte notti… E c’è chi invece sviluppa una propria riflessività tanto da chiedersi, prima o poi, il perché della sua esistenza e della vita in generale… E in momenti di crisi, o d’illuminazione o risveglio come si chiamano a volte, ci si interroga su valori come ‘giustizia’, ‘bello’, ‘buono’, ‘reale’. Le risposte a questi quesiti sono difficili da trovare.

Tante domande…

In una società europea e occidentalizzata, come la nostra, c’è pochissimo spazio per il dolore, per le crisi, per il sentirsi debole e perso. In altri contesti, le persone vivono con molti meno comfort ma hanno la fortuna di poter vivere in maniera naturale anche fenomeni come il pianto o il lutto, perché non sono dei taboo. Come nelle Filippine o in Polinesia. In altri luoghi ancora, esse hanno sviluppato tutta una serie di pratiche, filosofie e rituali che le accompagnano giorno per giorno. Si parla di emozioni, di mente, con la riflessività portata al limite: questo prende il nome di ‘spiritualità’. Come in India e in Sud America.

Io mi trovavo in una fase del genere: piena di dubbi, nessuna certezza. Il mondo mi appariva stupido, abitato da bambini cresciuti fisicamente ma immaturi su altri piani, che come automi vivevano esattamente come la società ordinava… Tutti pronti a litigare, a studiare e a lavorare, a fare sesso e riprodursi. Alla ricerca di popolarità, like, vestiti all’ultima moda, e soldi.

Ma la vita dov’era? La sensazione di sentirsi vivi davvero?

E così partii per questo viaggio… Iniziato nel profondo dei miei pensieri e della mia coscienza. Lungo il cammino mi ritrovai a fare una serie di incontri ed esperienze. Nel posto in cui vivo e in giro per il mondo.

Oggi voglio partire dalla fine, e raccontare un’esperienza di viaggio lento, direi quasi senza tempo.

Vi parlerò di una derga sufi.

La Derga (o Dargah)

Dargah - filosofia Sufi
La Derga, centro sufi

Per chi non lo sapesse, “derga” è il nome del luogo di culto e ritiro dei sufisti, una specie di ‘ashram’ dei buddisti. La derga ospita il maestro spirituale, detto ‘sheikh’, ed è un edificio molto grande con tante stanze, spesso anche un giardino, perché è destinato ad accogliere numerose persone durante le feste e gli incontri.

Il sufismo invece è la corrente mistica dell’Islam. Non ha niente a che vedere con l’Isis o il terrorismo: l’Islam è una religione e i fedeli si chiamano musulmani.

Ciò non toglie che il fanatismo religioso e la politica non sono mai stati un’accoppiata felice: come nella nostra storia le Crociate o la colonizzazione per civilizzare i popoli selvaggi e convertirli all’unico e vero dio, spazzando così storie e tradizioni anche millenarie, e spesso più pacifiche delle nostre. Ma questa è un’altra storia…

Una nuova esperienza

La derga, dicevo, l’ho trovata per caso.

Avevo appena chiesto dentro di me, all’universo o alla luna as you like to say, di incontrare un maestro spirituale. Cosa cercassi esattamente, non saprei dirlo…

Volevo capire, vivendolo, se c’era un senso nella meditazione e negli scritti religioso-spirituali.

Cercavo la mia strada.

Così quando un amico mi propose di andare con lui e altri due ragazzi a una festa in una derga sufi in Germania, non ci ho pensato tanto e mi sono preparata a partire, curiosa su quello che avrei trovato.

Sapevo ben poco del sufismo, giusto qualche racconto sentito e qualche lettura fatta qua e là.

L’arrivo

Arrivata all’aeroporto tedesco, come mi aveva detto il mio amico (arrivato prima di me perché veniva da un’altra città), un uomo vestito da sufi mi è venuto a prendere. Il viaggio lo facemmo con un’altra ragazza, appena arrivata dall’Inghilterra. Parlammo in inglese. L’uomo, di cui non ricordo il nome, ci raccontò che passava il tempo a studiare teorie spirituali, come quelle di Gurdjeff, della geometria sacra e della musica sacra. Studiava cioè come certe sequenze di numeri si trovavano in natura e come riprodurle in tutti gli aspetti dell’esistenza. Tutto ciò lo considerava molto importante perché solo così si potevano creare delle tecniche e delle arti capaci di produrre bellezza e armonia nel mondo, perché fatte su immagine dell’ordine di dio.

La derga è un posto davvero affascinante, e quella che visitai si distingueva fortemente dalle altre costruzioni di quel paesino del Sud. Era dicembre e il freddo pungente.

La derga invece era calda e accogliente, l’ho definita un’oasi marocchina nel cuore della Germania.

Appena arrivata, mi hanno assegnato un letto in una stanza-dormitorio, dove dormii solo la prima notte perché le mie compagne di stanza russavano assai. Le donne dormivano in una stanza e gli uomini in un’altra e anche i bagni erano separati.

Ho incontrato i miei amici, arrivati da qualche ora e ci siamo pian piano ambientati.

Tutto era come in una storia delle Mille e una notte: ovunque veli preziosi e colorati, tappeti bellissimi e scritte artistiche in calligrafia araba alle pareti.

Il colore prevalente in tutta la derga è il verde smeraldo.

Le giornate erano scandite al ritmo delle 5 preghiere giornaliere, a cui comunque non si era obbligati a partecipare.

Io e due dei miei amici, pur non essendo religiosi e non facendo mistero della cosa, ci siamo sentiti accolti. Abbiamo semplicemente spiegato alle nostre guide che eravamo lì per conoscerli e hanno sempre risposto alle nostre domande. Non sono mai stata obbligata a portare il velo. Ho ricevuto diverse proposte di matrimonio, quelle sì… Ma ho sempre rifiutato.

Cerimonie

Ho comunque assistito a diversi matrimoni in quei giorni. Delle cerimonie bellissime, con canti e gesti rituali. Ognuno diverso dall’altro: chi aveva molti invitati e chi nessuno, chi indossava vestiti sfarzosi e chi semplicissimi. Coppie di ventenni, di cinquantenni, di età diverse. E molte coppie miste.

I bambini e i ragazzini godevano di grande libertà, nel senso che avevano spazi tutti per loro e i genitori non gli stavano mai col fiato sul collo per controllarli ad ogni passo. Bambini bellissimi, dalla pelle pulita e luminosa, sembravano usciti da una macchina del tempo. Per i vestiti che indossavano, sembrava, come dicevo, di stare in una storia da Mille e una notte, e pur avendo computer e smartphone preferivano parlare e scherzare tra di loro.

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Il ristorante Sufi

Quella derga ha un ristorante, che è una forma di autofinanziamento. Una piccola sala bellissima dove si potevano mangiare cibi provenienti da tradizioni lontane e diverse, perché tali erano le provenienze di coloro che vi lavoravano o che semplicemente davano una mano in quei giorni di festa.

Non penso di esagerare dicendo che nel giro di 3 giorni arrivarono circa 200 persone.

Un’altra saletta più piccola era attigua a quella principale del ristorante, arredata con panche di legno e tavolini bassi, tappeti e cuscini.

Si potevano bere diverse qualità di tè: nero, alla menta e altri. Non c’era alcool da nessuna parte. E questa regola i musulmani la seguono tutti. Anche se più d’uno ci ha raccontato di averlo assaggiato almeno una volta.

Nella derga nessuno beveva, dicevo. In compenso molti di loro fumavano canne. E così capimmo come mai, nelle cucine al pian terreno davanti al giardino, in molti cucinavano e mangiavano a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il tutto con grande discrezione.

Infatti in quella cucina si poteva cucinare in autonomia, facendo la spesa nel market del paesino. L’unica regola era lasciare ordinato e pulito.

I pasti altrimenti erano in comune, nella enorme sala che serviva da luogo di preghiera nei giusti orari, mentre all’ora dei pasti diventava sala da pranzo. Alcuni uomini e donne preparavano la sala e poi ci si disponeva, uomini sul lato sinistro e donne sul destro, entrando da porte diverse davanti alle quali si lasciavano le scarpe e si prendeva posto sui tappeti su cui erano stese delle sorte di tovaglie in file, visto il grande numero di persone presenti. Quei tappeti erano comodissimi.

Al centro della sala, tra la zona uomini e quella donne che non avevano nessun separé, c’era chi dava il cibo, sempre abbondante.

Dopo il pasto c’era chi lavava le stoviglie, chi puliva la sala, ecc.

Vita comunitaria

DargahAnche io e i miei amici demmo una mano in quei giorni, in cambio di vitto e alloggio.

Tutto nella derga veniva fatto in maniera comunitaria, tutti assieme. Si condivideva tanto.

E tutti aiutavano, anche gli altri sheikh presenti e i figli di sheikh. Perché quelli dell’umiltà e dell’aiuto reciproco venivano considerati dei valori, superiori alla diversità di ranghi.

Le persone presenti provenivano da Europa, Asia e Africa, compresi diversi italiani. Quello che mi colpì di questi ultimi in particolare, è che quasi tutti in patria dovevano dissimulare la loro appartenenza a quel credo per timore di giudizi, ritorsioni e violenze, in famiglia e fuori.

Lo sheikh

Il mio incontro con lo sheikh avvenne tra il secondo e il terzo giorno.

Quando arrivò, una strana atmosfera calò su tutta la derga, l’aria era come attraversata da elettricità che ti faceva sentire il cuore in petto battere forte. Se esistono degli uomini con poteri particolari, lui è uno di quelli.

Leggeva nel pensiero, sentiva le cose che succedevano lontano da lui, quando apriva bocca rispondeva alle domande che ti eri fatto in testa. E ti guardava come se ti leggesse dentro. E tante altre cose, che a scriverle o raccontarle sembro scema, eppure è tutto vero.

A me si affezionò. Anche se tutti volevano parlare con lui per i più svariati motivi, parlammo da soli per parecchio tempo nella saletta delle panche e dei cuscini. E mi attirai gli sguardi e addirittura l’invidia di molti là dentro, che lo veneravano come un dio sceso in terra, come un profeta, per restare in tema. Ma lui non sopportava i fanatismi e la deferenza, come quando qualcuno cercava di toccarlo, manco fosse Gesù come viene raccontato nei vangeli.

Lo sheikh è un musicista classico, violoncellista di conservatorio, e di tanti altri strumenti strani che ha incontrato nel suo cammino per diventare sheikh. Inoltre canta: una voce davvero magnifica, che risveglia emozioni.

Vivere la filosofia Sufi… in profondità

Siccome ho lo spirito da antropologa, ho deciso di partecipare attivamente alle attività previste in quei giorni di festa. Oltre a camminate coi miei amici nel paese e nella foresta, ho seguito il corso di calligrafia araba, di arabo, uno di percussioni particolari e uno di enneagramma (tenuto proprio dall’uomo che mi aveva accompagnato dall’aeroporto il primo giorno). Ho giocato coi bambini, capendoci a gesti.

Inoltre ho parlato con tante persone, di tutto.

Delle donne, che si sentivano libere di vivere la loro femminilità (velo compreso).

Di fidanzamento, matrimonio e divorzio (che è facilissimo e istantaneo da ottenere perché il matrimonio non è un rito civile e quindi non c’è nessuna documentazione da compilare).

Di lavoro. Quando qualcuno è in cerca di occupazione la comunità intera lo aiuta, e pure lo sheikh dà consigli (quando non profetizza).

Di pace.

Di non violenza.

Si parlava di tutto, o quasi.

Discutevamo con alcune persone del fatto che gli uomini potevano, secondo il Corano, avere più mogli a patto che avesse il benessere materiale per mantenerle adeguatamente: quindi era positivo per la comunità, contro la povertà delle società del passato e di oggi in certe zone del mondo.

Così dissi che secondo me era allora giusto aggiornare la norma ai giorni nostri, con le donne che lavorano anch’esse e che quindi possono permettersi economicamente più di un marito.

Danze ed energia Sufi

Era così tanta l’energia là dentro! Uno stato di euforia e gioia, per il quale loro usavano un termine arabo per dire ‘pazzi d’amore’. Questo stato era il risultato di 200 persone occupate a pregare e fare quelle danze sacre e tutto il resto.

Io per due giorni non ho dormito, mentre gli altri un paio d’ore a notte: non ne avevo bisogno.

Più sù dicevo del mio spirito d’antropologa, quello di chi si immerge in un’altra cultura fino in fondo, perché lo considera l’unico modo per conoscerla davvero: per questo ho partecipato alle loro preghiere pur non essendo religiosa. Volevo sperimentare e capire.

E i balli caricavano davvero.

C’erano anche i dervisci, indifferentemente donne o uomini, che ballavano in tondo la danza dei pianeti. Uno spettacolo commovente.Dargah, filosofia sufi, dervisci, danza, derga

“Nei ritmi ossessivi… la chiave dei riti tribali”

Un giorno lo sheikh mi diede un nome, dal bellissimo significato.

E in molti durante la cerimonia conclusiva mi fecero dei doni: vestiti, gioielli, un cd di musica dello sheikh, e tantissimi tasbeh.

I tasbeh sono i rosari musulmani, utilizzati nel sufismo per recitare i dhikr, cioè delle preghiere-mantra.

I significati delle preghiere, il più delle volte cantate (per lo meno in quella derga dallo sheikh musicista), sono poesie pure. E tutte parlano di amore e apertura del cuore.

Il simbolo più usato è la rosa, che in tutto il mondo viene associato proprio al cuore e all’amore, in questo caso anche con valenza magica. Ecco perché i sufi usano profumi alle rose, meditazioni sulle rose, ecc..

Una delle preghiere considerate più potenti recita “la illa illa allah”, che vuol dire più o meno “nessun dio fuori da allah”. La cosa interessante è che parlando con diverse persone, tra cui lo sheikh, eravamo tutti d’accordo nel dire che il dio di cui parlano tutte le religioni è sempre il solito, con un nome diverso.

Un altro canto/preghiera recita allahumma salli ‘ala muhammad wa ali muhammad.

Come canta Battiato, che i sufi li conosce molto bene, “nei ritmi ossessivi la chiave dei riti tribali”, e ascoltando quelli della derga si respirava la veridicità di questa frase.

Dunque, ho detto che questa è la fine del mio viaggio perché dopo questa esperienza, nei mesi che seguirono, ho sviluppato una diversa consapevolezza. E al momento questa realtà non mi interessa più, ho molte altre cose da fare nel mondo.

Ma se avete la pazienza di leggere due righe ancora, vi lascio con le amate parole del poeta Rumi.

Poesia Sufi

Morite, morite, di questo amore morite,
se d’amore morirete, tutti Spirito sarete!
Morite, morite, di questa morte non paventate,
da questa terra su volate e i cieli in pugno afferrate!
Morite, morite, da questa carne morite,
non è che laccio la carne, e voi ne siete legati!
Prendete, prendete la zappa per scavar la prigione!
Spezzato che avrete il muro, sarete principi, emiri!
Morite, morite davanti al sovrano bellissimo:
morti che avanti a lui sarete, sarete sultani e ministri!
Morite, morite, uscite da questa nube
usciti che ne sarete, Luna lucente sarete!
Tacete, tacete, il silenzio è sussurro di morte;
tutta la vita è in questo: siate un flauto silente.

E ancora:

“Tutto quanto concerne l’Anima si
svela spontaneamente ed ogni
sforzo razionale non fa che allontanarla.
Questo perché la sua natura
non è fenomenica. Si coglie

col cuore come una poesia, come
un’opera d’arte. Si sente, si ama
ma nessun concetto, come ombra
fugace, è ad essa adeguato”.

Per finire:

Che cosa farò, musulmani?
Non mi riconosco più…..
Io non sono né cristiano né ebreo,
né magio né musulmano.
Io non sono dell’Est né dell’Ovest,
né della terra né del mare.
Io non provengo dalla miniera della natura
né dalle stelle orbitanti.
Io non sono della terra o dell’acqua,
del vento o del fuoco.
Io non sono dell’empireo
né della polvere su questo tappeto.
Io non sono del profondo né dell’oltre.
io non sono dell’India o della Cina,
di Bulghar o di Saqsin.
Io non sono del regno dell’Iraq
né della terra del Khorasan.
Io non sono di questo mondo né dell’altro,
non del cielo né del purgatorio.
Il mio luogo è il senza luogo,
la mia traccia è la non traccia.
Non è il corpo e non è l’anima,
perché appartengo all’anima del mio amore.
Ho riposto la dualità
e visto i due mondi come uno.
Uno io cerco, Uno conosco.
Uno io vedo, Uno chiamo.

Francesca Albais


Per approfondire…


Se vi trovate in Germania e siete interessati a visitare questa piccola comunità, seguite questo consiglio: cercate di andarci di venerdì; in questo giorno è possibile assistere alle loro feste (il racconto si riferisce ad una delle feste annuali più importanti ma ogni venerdì vengono organizzati comunque eventi interessanti). Altri consigli:

  • Ogni primo sabato del mese, il centro ospita un raduno di visitatori da tutto il mondo.
  • Ogni giovedì sera c’è un dhikr in comune all’ostello di Kall-Sötenich.
  • Ogni venerdì si eseguono insieme le preghiere del venerdì a Kall-Sötenich.

Contatti  🔍📧



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