Avventura in autostop nelle valli ignote della Turchia meridionale (prima parte)
Viaggio lento in Turchia. Di Valentina Locatelli – Era il 26 dello scorso giugno quando con alcuni amici decisi di raggiungere la Cappadocia in autostop da Gaziantep, città del sud della Turchia dove vivevo al momento, svolgendo il Servizio Volontario Europeo con l’associazione turca “Gaziantep Egitim ve Gençlik Dernegi”, grazie all’associazione italiana d’invio Scambieuropei.
Pochi soldi in tasca e nessun programma
Ci alziamo dunque presto, zaini in spalla contenenti il minimo indispensabile, pochi, pochissimi soldi per comprare cibo, nessuna connessione internet e in mano una mappa decisamente sommaria del percorso da compiere, giusto per avere un’idea della città dove andare soprattutto nell’ottica di chiedere un passaggio a qualcuno con la nostra misera conoscenza della lingua turca. Io e i miei amici abbiamo una tenda in quattro, una minuscola tenda due posti, che decidiamo di portare con noi per ogni eventualità; non abbiamo nessun programma se non quello, vago, di raggiungere, Nevsehir, in Cappadocia, e da lì proseguire per Göreme quindi improvvisare affidandoci alla seconda mappa, molto sommaria, disegnata sul mio taccuino di viaggio, con i camini delle fate e vari luoghi di interesse, disegnati in maniera abbozzata, perché no, non sono una grande artista..
Mission impossible
Dopo esserci incamminati a piedi in direzione dell’autostrada, iniziamo con la nostra mission impossible: fare l’autostop in città. Sappiamo già quanto sia lungo il percorso per raggiungere l’autostrada e trovare un buon punto strategico per fare l’autostop e sappiamo che nei prossimi giorni cammineremo molto, moltissimo. Partiamo anche con uno svantaggio: nel mio gruppo siamo in quattro, due ragazze e due ragazzi, di cui due minorenni: decidiamo di non separarci pur sapendo che sarà più difficile ottenere passaggi con un gruppo così numeroso.
All’inizio della nostra avventura abbiamo però fortuna: quasi subito si ferma un pick-up e con un giubilo di entusiasmo collettivo, quando mi avvicino al finestrino abbassato per chiedere se stiano andando verso l’Otoban, l’autostrada, notiamo che l’uomo ha già caricato 3 autostoppisti e che sono alcuni dei nostri amici..
Amici ritrovati
I camion sono lenti
Verso la prima destinazione
Il cammino oltre tramonto
Ci avviamo quindi a piedi con la speranza di raggiungere la città e poter uscire dall’autostrada per trovare un posto dove passare la notte, nel mentre cerchiamo comunque di fare l’autostop, almeno fino alla prima uscita. Camminiamo moltissimo e iniziamo a demoralizzarci e preoccuparci perché ormai c’è buio pesto quando si ferma un altro camion. Con nostro stupore l’autista ci dice che è diretto a Nevsehir: decidiamo di salire.
Nevsehir
Siamo arrivati per primi, fantastico. Ed ora? C’è già buio, non abbiamo preso accordi con nessuno per l’ospitalità a Nevsehir. Abbiamo una tenda, ma in pieno centro città ce ne facciamo poco… Rincorriamo l’uomo che ci aveva prestato il telefono, che insolitamente parlava inglese, per chiedergli se ci sia un parco nelle vicinanze dove poter piantare la tenda. Ci guarda come fossimo degli alieni e ci dice di seguirlo. Lo seguiamo. Arriviamo ad una fermata del pullman, lui parla per un po’ in arabo al telefono –scopriremo che non è turco ma iracheno- e ci dice poi in inglese che alcuni suoi amici ci possono ospitare per la notte. Arrivano questi ragazzi più o meno della nostra età, c’è buio, l’uomo ci dice che ci deve lasciare ma che possiamo seguirli. Potrebbero essere trafficanti di organi, terroristi, serial killer… Beh, li seguiamo.
Rifugiati che rifugiano
Non parlano una parola d’inglese e a gesti ci fanno segno di seguirli. Uno dei due ragazzi che viaggia con me mi sussurra all’orecchio che fingeremo di essere sposati, così per scrupolo. Per strada l’unica cosa che continuano a dire è UNHCR e la ragazza kosovara che è con me lo interpreta come un tentativo di spiegarci che lavorano per l’UNHCR: sono vestiti bene e l’uomo che abbiamo fermato era molto distinto. Arriviamo a casa loro, una casa piccola, modesta, e troviamo altri 3 ragazzi. Nessuno di loro parla inglese, a gesti ci chiedono qualcosa, forse se abbiamo fame. Lungo la strada si sono fermati a comprare del pane ed altre cose e crediamo siano per noi.
Ci sediamo a terra su un tappeto in questa stanza disadorna, esitanti, senza capire bene cosa accada intorno a noi fino a quando arriva un ragazzo molto giovane, con un sorriso da orecchia a orecchia e uno smartphone in mano: non sarà un granché, ma in questa situazione Google Translator è stato di immenso aiuto. I ragazzi sono iracheni, hanno perso tutto e si trovano a Nevsehir dopo aver richiesto asilo politico. Uno tira fuori un pezzo di carta attestante il suo status di rifugiato, in alto la sigla UNHCR e ora capiamo cosa cercavano di dirci..
Ospitalità improvvisata
Dormiamo in una camera che ci hanno mostrato e soltanto la mattina ci rendiamo conto che 3 ragazzi hanno dormito per terra, su quello stesso tappeto dove abbiamo mangiato, per lasciare i loro letti a noi. La mattina ci fanno il tè, ci lasciano usare il loro bagno per fare la “doccia”, un getto d’acqua sgangherato in una stanza che si allaga non appena la apri, e ci danno pacche sulle spalle e augurano buona fortuna per la nostra avventura, perché la sera prima gli ho mostrato la mappa e i disegnini dei posti che andremo a vedere. Abbiamo deciso di proseguire da soli, zaini in spalla. Ci avviamo lungo una strada polverosa per tornare alla strada principale per ricominciare a fare l’autostop e raggiungere Göreme, là dove avrà inizio l’Avventura. Però mi rendo conto che l’avventura è già iniziata da un bel po’.
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