
Valentina ci ha fatto vivere il sogno e la bellezza di un viaggio lento grazie ai racconti delle sue esperienze in Turchia. Oggi ci propone un nuovo racconto introspettivo, l’inizio di una nuova avventura nella terra dei Balcani.

Gli amici albanesi mi avvisano di armarmi di pazienza e non spaventarmi se al mio arrivo l’autobus ancora non c’è: siamo in Albania, è perfettamente normale che accada e l’unica cosa da fare è aspettare.
Con mia sorpresa però al mio arrivo l’autobus è già lì, pronto per partire, lascio il mio backpack, mi accomodo nell’autobus sgangherato e ancora vuoto, compro un biglietto di andata e ritorno direttamente in vettura, ritorno che non mi servirà perché scoprirò che i non esiste “il viaggio di ritorno” con quella compagnia di domenica.
Sono molto stanca e il viaggio sarà tutto un susseguirsi di sonno, sogni agitati, risvegli di soprassalto, testate al finestrino e paesaggi mozzafiato. Nessuno sull’autobus parla inglese, nemmeno l’autista. Piove fortissimo, in alcuni tratti la pioggia è mista a neve e fuori dal finestrino si susseguono paesaggi spettacolari: il nord dell’Albania è impressionante, l’autostrada è una strada che taglia le montagne, inserita in un panorama surreale. Attorno a me soltanto montagne, nebbia fittissima, la neve sui picchi e questa strada tortuosa, canticchio tra me e me
“…This could be heaven and this could be hell…”

A Prizren ci fermiamo per una sosta. Decido di scendere per comprare qualcosa da mangiare nel vicino supermercato, chiedo un timido “How much?” alla cassa e il cassiere mi guarda come se avesse visto un alieno. Insisto per un po’ fino a quando esasperata ricordo che in questa città la maggior parte degli abitanti parla turco, allora azzardo un “Nekadar?” e finalmente posso pagare e uscire: l’autobus sta già ripartendo, l’impressione è quella che non mi avrebbero aspettato. Piove sempre più forte, si vede a malapena fuori dal finestrino. Ricevo un messaggio dalla Farnesina che mi sconsiglia di andare a Pristina, che è proprio dove sono diretta, ma so già degli scontri in corso. Scopro a mie spese che Vodafone Passport non funziona in Kosovo e mi ritrovo senza soldi nel cellulare diretta a una meta altamente sconsigliata. Dopo 5 ore di viaggio arriviamo a Pristina, riesco in qualche modo mettendo insieme due parole di albanese a spiegare all’autista che non voglio assolutamente fermarmi in centro città, ma voglio scendere all’ultima fermata -la stazione degli autobus, e sembra capire. Quando arriviamo recupero il mio zaino che è zuppo d’acqua e fango, lo indosso a fatica e vengo fermata dal giovane autista che vuole assolutamente dirmi qualcosa. Dopo sforzi immani per cercare di capire cosa mi vuole dire, capisco che mi sta invitando per un caffè e mi congedo con un sonoro –no-.
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La stazione degli autobus sembra deserta. Entro nell’unico bar per chiedere di poter usare il bagno e mi dicono di non avere un bagno, tutti sono abbastanza scortesi ma per fortuna trovo un ragazzo che parla inglese e gli chiedo di poter usare il suo cellulare per una telefonata: la mia amica Aurela verrà a prendermi in auto, sono fradicia, stanca e malata ma posso rilassarmi e dare inizio alla mia avventura in Kosovo e tuffarmi nella famigerata nightlife di Pristina, che mi porterà in un appartamento comunitario a bere e parlare di politica con giovani giornalisti e attivisti politici, a ballare in un locale ricavato in una stazione di treni, ad assistere a una rissa sfiorata in una pizzeria alle 5 del mattino e a correre per strade in discesa con le scarpe in mano. Troppo poche ore di sonno e si riparte, questa volta in auto, alla volta di Prizren, la perla del Kosovo dove si parla turco.
Per leggere le avventure di Valentina in Turchia clicca qui: Viaggio in Turchia 🇹🇷
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