GIORNO 2: PALAIS DEL REI – 65 KM DA SANTIAGO
Questo racconto introspettivo è il seguito di una serie di puntate curate da Alessia B. e dedicate al cammino di Santiago de Compostela. Se non avete letto le prime pagine vi consigliamo di cominciare dalla prima “puntata”: Il mio cammino di Santiago, un viaggio nello straordinario.
Stamattina mi sveglio e conosco degli italiani.
Gli avevo chiesto una forbicina la sera prima, rivolgendomi in italiano. La verità è che li avevo sentiti confabulare nella nostra lingua qualche istante prima. Stamattina li incontro di nuovo, mentre fanno colazione con due ragazze. Questa volta parlano in inglese. Mi siedo senza chiedere il permesso ed ordino una tostada, così entro nel loro gruppetto.
Si conoscono da poco, da un paio di giorni. Le due ragazze sembrano esplodere di vita, anche se non sono proprio in forma, come del resto non lo sono io. Le invidio, per la loro vitalità. Poi decido di prendere su tutto e partire, con un po’ di vantaggio rispetto ai ragazzi, e con un po’ di ritardo rispetto alle ragazze. Sono le 7 del mattino e il villaggio di PortoMarin è famoso per la sua nebbia.
Se la prendono con calma: parlano con tutti, si segnano i nomi ed i numeri di telefono su un’agendina, riposano, si accendono una sigaretta. Tutto con estrema lentezza, godendosi ora in ora, passo in passo, tutto quello che il cammino offre loro. Io non sono ancora pronta a prendermela così, in scioltezza, e le stacco. Mi domando, ancora oggi, perché decidere di staccarsi dal gruppo ma, mentre me lo domando e supero il quarto km, ecco che incontro di nuovo le ragazze. Una delle giovani è portoghese, l’altra è inglese e sembra si conoscano da sempre: in realtà si sono incontrate durante il loro primo giorno di cammino, a Saint-Jean, cioè 2 mesi fa.
Al 7° km incontro i ragazzi.
-Il bello di stare qui è che non hai nessun cartellino da timbrare, né paura di ingrassare… Ci facciamo un’altra colazione?– Mi chiedono.
La loro colazione è un’insieme di costine di maiale, io bevo un altro caffè.
Ok, andata.
Una tragedia del cammino di Santiago
Parlo a lungo con loro, e mi raccontano una storia strana. Riguarda le due ragazze di prima e due vecchietti assieme ai quali erano partite alla fine di febbraio da Saint-Jean, quando le Alpi erano ancora ben innevate. Tutt’oggi non ho la certezza che sia “vera-veramente” (come dicono i bambini, o il cappellaio matto), ma non mi sono mai presa la briga di controllarla.
So che ho voglia di crederci: durante un momento del tragitto la portoghese si fa spaventare dal tempo e, insieme ai due anziani, si ferma per la giornata, credendo in un cielo che promette neve. La ragazza inglese, invece, decide di partire all’avventura insieme ad altri due amici. Superano le Alpi, ma la neve gli impedisce di continuare, l’altitudine, invece, di chiamare con il cellulare. Passano la notte lì, al freddo, in una tenda. Uno dei tre scivola e cade. Ad un paio di mesi di distanza, il giovane è ancora disperso.
Condivisione
Condividere è tutto, me ne rendo conto solo adesso. E’ anche ciò che probabilmente unisce le due ragazze. Condividere un enorme e brutta storia, per poter continuare insieme. Mentre ascolto la storia provo un senso di inquietudine ma anche di compassione. Riprendo il cammino con l’intero gruppo e non mi accorgo di aver fatto 10 km di fila dopo i primi 7, fermandomi solo 15 minuti.
I ragazzi sono molto veloci, le mie gambe non reggono più.
Ho le vesciche che mi lacerano ed il sole è proprio a mezzo centimetro dalla mia faccia, che sta bruciando, piano piano, in questa primavera galiziana.
Oggi è anche Pasqua. Mi concedo più tardi un pranzo solitario, cosa che non amo particolarmente. Stare da sola mi deprime e talvolta fa più male del dolore fisico. Penso troppo, è per quello che ingolfo centinaia di cose da fare, pur di tenere la testa occupata. Ora che non ho altro a cui pensare, in questi 25 km di solitario cammino, mi martella dentro di tutto.
Un grande masso con una targa mi accoglie all’ingresso del Paese. È un posto bellissimo e quando levo lo zaino mi sembra di volargli intorno. “Eccolo qui il mio segreto: non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.Gli ultimi passi prima dell’arrivo a Palais del Rei sono lunghissimi e scanditi da un “voglio tornare a casa” che pronuncio centinaia di volte.
E’ il Piccolo Principe.
Chi diceva che il Piccolo Principe era un libro per bambini, non aveva capito niente. Mi siedo al bar di fianco e continuo a guardare quella scritta.
Ho ancora qualcosina da condividere sul mio cammino di Santiago. Perciò se vi va, leggete gli altri miei racconti.
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