Se siete arrivati fino a qui probabilmente vale la pena aggiungere anche che, se una vacanza non può, per definizione, prevedere fatica e lavoro, il viaggio queste due cose può prevederle eccome. A Settembre 2016 io e la mia ragazza Rita abbiamo deciso di prenderci un anno sabbatico per viaggiare per il mondo. Per farlo io ho preso un’aspettativa dal lavoro, mentre lei ha rifiutato il rinnovo di un contratto. Sono seguiti due mesi di preparativi, durante i quali la prima domanda che ci è stata rivolta da quasi tutti i nostri amici, e se non la prima sicuramente la più frequente, è stata “ma dove li trovate i soldi per fare tutti questi viaggi?”. La risposta non l’avevamo ben chiara neanche noi e probabilmente non l’abbiamo chiara nemmeno adesso. Spostarsi, mangiare e dormire in un paese straniero può essere molto costoso, anche ai tempi del web 3.0 in cui forum e siti di turismo offrono una miriade di offerte e consigli per viaggiare low-cost. Anzi, la soluzione che abbiamo trovato noi al problema non era quasi mai trattata dai siti di viaggi, eppure è una soluzione che nasce proprio online e si chiama Workaway.“E che cos’è questo workaway?” ecco la seconda domanda più frequente di amici e parenti. In effetti quasi tutti conoscono il lavoro alla pari (au-pair) e molti conoscono il Wwoofing, ma in pochi conoscono la piattaforma che abbiamo scelto noi.
Workaway è stato lanciato per hobby nel 2003 da David Milward, che nei primi anni 90, durante una vacanza alle Hawaii, era riuscito a prolungare il suo soggiorno lavorando in un ostello. All’epoca David gestiva una scuola di lingua, dove si era reso conto che il modo migliore per imparare le lingue era viaggiare ed immergersi nella cultura della lingua. Una volta tornato a casa, decise di offrire la possibilità ai viaggiatori di soggiornare da lui, in cambio di aiuto, diventando così il primo host di Workaway. Poco dopo nacque la prima lista di host, composta da amici e di progetti che il giovane Milward aveva conosciuto durante i suoi viaggi. Da allora il concetto di workaway si è diffuso con il passaparola, fino a diventare ciò che è oggi: un database contenente migliaia di progetti, in cui è possibile lavorare alcune ore a settimana, in cambio di vitto e alloggio. Solitamente viene richiesto di lavorare 20 – 25 ore a settimana, in cambio si hanno da uno a tre pasti al giorno e l’alloggio, che può consistere di una stanza privata, una tenda, una roulotte, un letto in dormitorio, ma a volte anche una casa intera. I lavori offerti possono andare dal giardinaggio agli scambi linguistici, dalla reception di un ostello al badantato, dai servizi professionali come la fotografia ed il marketing fino ad un aiuto con l’imbiancatura.
Quelli sopra sono solo alcuni dei tipi di attività richieste in cui ci siamo imbattuti nelle nostre ricerche per il nostro mese da trascorrere in Francia.
La ricerca dell’offerta ci ha richiesto svariate serate davanti al PC, anche se non avevamo grandi pretese. Quello che cercavamo era fondamentalmente un’occasione di staccare dalla routine, di impegnare il nostro tempo facendo cose nuove e il più possibile diverse. Inoltre nelle ore e nei giorni liberi avremmo potuto visitare i dintorni e avremmo avuto anche un punto di partenza strategico per futuri spostamenti.
Un’oasi britannica in Bretagna
Devo premettere che uno dei motivi che ci aveva portato in Bretagna era il mio desiderio di imparare il francese facendo un mese di full-immersion eppure, tra tutte le proposte del sito, abbiamo sicuramente optato per l’angolo meno francese di tutta la Francia.
Patricia e Robert, 68 e 73 anni, sono infatti una splendida coppia britannica che nel ‘97 ha deciso di lasciare Londra per trasferirsi nel grande mulino che avevano acquistato sul torrente Le Lié.
Nonostante vivano in Bretagna da quasi 20 anni però, ben poco hanno perso della loro “britannicità”: Robert non ha mai imparato il francese, ogni domenica Patricia cucina un rigorosissimo (e delizioso) sunday roast, nella dispensa sono protagonisti indiscussi chutney, marmite e cheddar ed il tempo in casa è scandito da un orologio a pendolo che copia la melodia di William Crotch, quella del Big Ben per intenderci. Inutile poi dire che rugby e BBC monopolizzano radio e TV. Insomma, se il mio francese non è certo migliorato nei nostri 13 giorni a Brehan, la mia conoscenza della lingua e della cultura inglese ha sicuramente fatto enormi passi avanti.
Huggy, Gabby e Lady
Nel loro grande mulino, Patricia e Robert non vivono soli. Gli onori di casa ad ogni ospite che arrivi sono porti infatti da Huggy, Gabby e Lady. Tre anziani setter, sordi come campane, che riempiono la casa di peli e di affetto e che non perdono occasioni di farsi coccolare dal primo sconosciuto che passi. Patricia e Robert hanno inoltre delle piacevoli vicine di casa: una decina di grandi ed oziose mucche da latte che pascolano nell’allevamento accanto.
A completare il quadretto bucolico, il costante rumore del torrente ed il lento girare delle pale del mulino.
Per il nostro soggiorno a me e Rita era stata riservata un’accogliente mansardina, che era una delle 3 camere da letto in cui ospitano i figli e i nipoti in estate.
Foglie
L’annuncio su Workaway era piuttosto generico sulle attività che avremmo dovuto svolgere e infatti le cose che ci siamo trovati a fare erano tante e diverse da loro, ma mai pesanti.
Durante la prima settimana un giorno abbiamo raccolto delle mele, un giorno abbiamo pulito la serra di Patricia, un giorno abbiamo pulito i vetri della casa, anche se le attività principali sono state due e sono state due battaglie perse: ricoprire le buche scavate dalle talpe durante la notte e rimuovere le foglie che ostruivano la grata del mulino. Ovviamente le talpe ogni notte scavavano il doppio delle buche ed ogni soffio di vento ricopriva ogni cosa di foglie autunnali.
Le foglie erano il problema principale, perché nonostante le pale del mulino fossero puramente estetiche, sotto la casa Robert, che era ingegnere, aveva installato una turbina con cui dava elettricità alla casa ed era quindi necessario che l’acqua potesse scorrere liberamente.
Alcuni giorni abbiamo riempito e portato via non so quanti sacchi e quintali di foglie, ma alla fine le foglie erano sempre lì. In quei momenti a tenere lontano lo sconforto ci pensavano i ricchi pasti preparati da Patricia, che spendeva gran parte delle sue giornate in cucina. Inoltre i due coniugi britannici passavano le giornate a punzecchiarsi e a scambiarsi battute, strappandoci a volte fragorose risate.
“Il pleut jamais en Bretagne…”
Nel tempo libero ne abbiamo approfittato per fare qualche gita e guidare in giro. A parte Rennes non ci sono grandi città in Bretagna e spesso le nostre escursioni si rivelavano essere delle, a volte disperate, ricerche di “civiltà”.
Guidando verso Saint Malo o verso la Broceliande per esempio abbiamo attraversato villaggi curatissimi e molto caratteristici, ma raramente abbiamo incrociato anima viva. Inoltre, se andate in Bretagna, non sognatevi neanche di andare a pranzo fuori la Domenica: nessun ristorante rimarrà aperto per voi. Se siete fortunati potrete forse imbattervi, dopo una ricerca per svariati paesi e chilometri, in un piccolo bar-tabacchi che vi propinerà una baguette con tonno e uova sode.
Anche se deserti, i paesaggi sono comunque suggestivi, con grandi prati, boschi e città antiche come Saint-Malo, famosa per le maree. La vera difficoltà per godersi a pieno la regione è stata infatti un’altra…
Una delle pochissime persone che abbiamo incontrato durante le nostre gite, è stato un autostoppista ubriaco che abbiamo preso a bordo vicino a Plumelec, durante la nostra prima settimana in Bretagna. Quando ad un certo punto Rita ha commentato il tempo, felicitandosi per le belle giornate che stavamo avendo, lui ha farfugliato un beffardo “Il ne pleut jamais en Bretagne, il pleut seulement sur le cons”. Poche ore più tardi è iniziato a piovere e non ha quasi più smesso per i successivi 6 giorni. Abbiamo poi scoperto che l’espressione era un modo di dire bretone, che significa “in Bretagna non piove mai, piove solo sugli idioti” e viene usata dai locali per prendere in giro i turisti che si lamentano del tempo.
Il Conveyor
Le attività che avevamo svolto per Patricia e Robert la prima settimana erano stato molto divertenti, ma non sapevo che la mia vera “missione” lì era un’altra.
Dall’ottavo giorno sono stato infatti arruolato in una missione contro il tempo (e contro le foglie!): la costruzione di un conveyor insieme a Robert. Questo macchinario, ideato e disegnato dallo stesso Robert, sarebbe servito a portare via le foglie dalla grata della turbina. Si trattava di un nastro trasportatore motorizzato, fatto di acciaio inossidabile, che sarebbe dovuto rimanere immerso nell’acqua.
2 euro al giorno
A fine Novembre è arrivato il momento di lasciare il mulino di Patricia e Robert. Non è stato facile salutarli, il tempo con loro era volato. Avevamo condiviso delle belle giornate e ricche mangiate, scambiato tante discussioni interessanti e ascoltato molte storie della loro vita.
Se non fossimo stati attesi sui Pirenei francesi per un altro workaway forse ci saremmo trattenuti anche qualche giorno in più, anche se la pioggia bretone stava iniziando a metterci a dura prova.
La sera prima di partire abbiamo fatto due conti: per sostentarci in Francia 2 settimane avevamo speso in due 49 euro e qualche centesimo. Con quei soldi avevamo comprato 2 cioccolate calde, delle tavolette di cioccolata, 2 gallettes (crepe di grano saraceno tipiche della Bretagna), 2 panini (quelli con tonno e uova sode, esatto) ed avevamo fatto un po’ di spesa per preparare una cena Italiana ai nostri host e per degli snack durante le nostre gite.
Meno di 2 euro a testa al giorno, meno di quanto avremmo speso per rimanere a casa.
Certo, nei nostri conti non sono incluse le spese per i trasporti e inoltre non ci siamo esattamente immersi nella cultura locale e per di più non ho nemmeno imparato il francese, ma per 13 giorni la nostra vita si è completamente trasformata: abbiamo svolto attività diverse da quelle che facevamo a casa, abbiamo avuto ritmi diversi da quelli che avevamo a casa, abbiamo mangiato cose diverse da quelle che mangiavamo a casa e siamo stati immersi in paesaggi diversi da quelli che avevamo a casa. Quale offerta, in quale agenzia di viaggi potrebbe mai scaraventare così lontano?
Per saperne di più…
Stefano e Rita stanno facendo il giro del mondo con la Sharing Economy. Potete ascoltare una loro intervista su youtube.
Oppure visitare la loro pagina facebook IO VOLEVO SOLO ANDARE IN MAROCCO.
Leggi anche il loro racconto sul viaggio in nave cargo.
Quest’avventura è stata possibile grazie al Workaway
Per iscriverti al Workaway clicca qui.
vi leggo sempre.. bravi 🙂