Da manager a Dubai a viaggiatore lento: intervista ad Andrea Cabassi

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Ciao Andrea, come è cominciata la tua carriera di Slow Traveller?

La transizione definitiva da viaggiatore “mordi e fuggi” delle ferie dal lavoro a viaggiatore “lento” è avvenuta nel secondo mese di viaggio del mio primo anno sabbatico. Era marzo/aprile 2018, mi trovavo nella Patagonia cilena e, dopo aver saltato due tappe per correre non si sa bene dove, ho deciso di rallentare e godermi il presente. Da allora, ho sempre viaggiato all’insegna della lentezza, anche se a dire il vero si potrebbe essere ancora più lenti.

Cosa ti ha spinto a lasciare il tuo lavoro di manager a Dubai per diventare viaggiatore a tempo indeterminato?

Era il 2016, a quel tempo ero appunto manager a Dubai, quando mio cognato ebbe un incidente di montagna che lo tenne in coma per quasi due mesi. Si è poi ripreso, ma quell’episodio mi risvegliò e mi fece capire che era stolto rimandare la realizzazione dei sogni all’età della pensione, a patto di arrivarci, averne una, avere ancora la forza necessaria e ricordarmi di ciò che avrei voluto fare fare 30 anni prima.
Non sapevo bene come concretizzare il mio sogno, così decisi di fare qualcosa: gettare le basi economiche e mentali per poter, un anno e mezzo più tardi, prendermi un anno sabbatico – poi diventati due – per viaggiare. Detto, fatto.

In “Non so se mi spiego”, il tuo ultimo libro, hai scritto di aver viaggiato a piedi, in autostop e coi mezzi pubblici. Quale di questi metodi ti è piaciuto di più?

Andrea CabassiRisposta difficile. A piedi riesci a cogliere dettagli tipo il profumo dei fiori, sui mezzi pubblici – specie quelli scassati in Paesi meno sviluppati – l’avventura è sempre dietro l’angolo, ma l’autostop è il mio favorito perché lo trovo emozionante.
Passi dall’essere “abbandonato” a bordo strada con un cartello in mano e il pollice alzato, al trovarti un secondo dopo a bordo di un mezzo random – magari nel cassone di un pick-up – a muoverti nella direzione della tua destinazione e, quando la raggiungi, provi un grande senso di soddisfazione e condivisione. Hai l’ennesima conferma che il mondo è pieno di persone pronte a darti una mano, per me molto rassicurante.

Qual è il posto del Sud America che ti ha colpito di più?

Rapa Nui, meglio nota come l’isola di Pasqua. Politicamente è territorio cileno, ma geograficamente è tra i luoghi più remoti della Terra, nel bel mezzo dell’oceano Pacifico.
L’oceano, il cielo e l’erba hanno colori talmente vivi da far male agli occhi. Poi ci sono quei testoni dei moai, strepitosi!

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Quali sono le persone incontrate durante il viaggio con cui hai stretto i legami più profondi?

Una è indubbiamente quella che è diventata la mia attuale compagna di vita, conosciuta nelle ultimissime battute del secondo viaggio sabbatico, nel Sudest asiatico. Più in generale, i legami più profondi li ho stretti prevalentemente con altri viaggiatori. Avendo scelto, anche se avevo 43-44 anni, la modalità backpacker e l’alloggio in ostelli, ho trovato un grande senso di condivisione e cameratismo. Con alcuni di loro, conosciuti davanti a una birra o su un bus, ho proseguito per settimane.

Una volta che hai lasciato il lavoro come sei riuscito a mantenerti in giro per il Sud America e altri posti?

Grazie ai risparmi accumulati in due anni a Dubai, alle royalties del mio primo libro, all’affitto di casa e a qualche piccolo investimento. Sottolineo in particolare i risparmi di Dubai, per evidenziare il fatto che, purtroppo, per tantissime professionalità esiste un Paese nel mondo nel quale si è pagati di più che in Italia o si è pagati uguale a fronte però di un inferiore costo della vita quindi, per differenza, si riesce a mettere più “fieno in cascina”.

Poi sono diventato nomade digitale o, come preferisco dire, ho un reddito location independent. Mi occupo di scrittura – ho pubblicato il primo libro anche in inglese e ho appena pubblicato il mio secondo libro in italiano – e di life-coaching online. Sto anche entrando nel settore dei video-corsi.

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In che modo l’emergenza mondiale da COVID 19 ha influenzato la tua vita da viaggiatore?

L’ha interrotta bruscamente a marzo 2020 in occasione del primo lockdown. Mi trovavo in Thailandia e, insieme alla compagna di viaggio del momento, in seguito diventata la mia compagna, decidemmo di rientrare in Europa per attendere che la situazione si tornasse a stabilizzare. Da allora abbiamo viaggiato solo due mesi, facendo il cammino di Santiago nell’autunno 2020. Abbiamo però trascorso il nostro tempo tra Italia e Portogallo (il Paese di lei) quindi a turno ci siamo comunque trovati in un Paese che non conoscevamo, sentendoci quindi in viaggio.

Cosa ti ha colpito di più del Cammino di Santiago?

Tante cose. Ti elenco le principali.

La prima che, un passo alla volta, si può letteralmente fare tantissima strada, nel nostro caso 930 km, ma è una metafora che vale in generale nella vita. La seconda che mi ha permesso di sperimentare la metafora dello zaino: quando lo devono trasportare le tue spalle per ore e ore, sei davvero costretto a eliminare tutto, ma davvero tutto, il superfluo.

La terza – e lo dico con amarezza – è che quando è arrivata la seconda ondata di Covid-19 (ci trovavamo in piena Spagna a metà cammino circa) il mondo attorno al cammino si è diviso in due: chi supportava i pellegrini diretti a Santiago e chi sbatteva loro la porta in faccia. Chi manteneva il proprio albergue (così si chiamano gli alloggi per i pellegrini) aperto, chi invece non voleva grane da gestire. Chi ti metteva a disposizione vitto e alloggio anche in piena pandemia – magari gratis, tipo lo strepitoso parroco di Hontanas – e chi apriva le braccia indicandoti di proseguire fino al villaggio successivo, magari sotto la pioggia, tipo il parroco di Hospital in Galizia. Come dire: nei momenti di crisi esce la vera natura umana, nel bene, nel male e nell’ipocrisia.

N.B. i pellegrini che avevano iniziato il cammino entro il 30 ottobre 2020 – noi eravamo tra quelli – erano autorizzati a completare il percorso, quindi non abbiamo fatto nulla di illegale.

 

Qual è stato un momento del cammino che ti è rimasto scolpito di più nel cuore?

Indubbiamente la già citata sosta a Hontanas. La tappa nelle intenzioni sarebbe durata circa 30 km, ma dopo aver camminato i primi 18 km sotto un temporale incessante e ritrovarci fradici fino alle mutande, abbiamo deciso di fermarci nel primo albergue aperto. Con nostra sorpresa, il parroco di Hontanas ci ha accolti insieme a una ventina di pellegrini bloccati dalla pioggia battente, offrendo un pasto caldo e, ad alcuni, pure l’alloggio. L’atmosfera di quel riparo improvvisato è stata davvero strepitosa.

Cosa significa per te Viaggiare Con Lentezza?

Significa aprirsi ad accettare ciò che ti portano incontri e destino, quindi abituarsi a seguire istinto e curiosità, senza un traguardo da tagliare. Significa decidere di fermarti a lungo in un posto solo perché provi piacere a svegliarti in quel luogo. Significa, come mi è capitato, decidere di “strappare” un biglietto del bus da Lima a Huaraz perché la sera prima in ostello incontri 7 clown che ti propongono di seguirli l’indomani nella favela nella quale fanno giocare i bimbi per volontariato. Significa conoscere una persona con la quale stai bene e decidere di stravolgere i tuoi “piani” per trascorrere più tempo in sua compagnia. E via di seguito…

Quali sono i tuoi progetti di viaggio (e di vita) futuri?

Come ti dicevo ho appena pubblicato un nuovo libro, intitolato “Non so se mi spiego – Da manager a Dubai a viaggiatore in Sudamerica”. Ne vorrei scrivere un altro mentre consolido la mia attività come life-coach ed entro nel mercato dei video-corsi. Dal punto di vista del viaggio, sto al momento temporeggiando in attesa di capire l’evoluzione delle restrizioni della pandemia. Viaggiare è già possibile e nonostante le limitazioni, seppur con disagio, lo è quasi sempre stato ma, avendo la possibilità di scegliere, al momento preferisco rimanere stanziale per un po’ (dopo oltre due anni in viaggio mi fa pure piacere) mantenendo ovviamente le
antenne dritte per cogliere eventuali opportunità o valutare nuove diavolerie che dovessero arrivarmi alla mente.

Non so se mi spiego è il tuo nuovo libro. Cosa ti piacerebbe trasmettere a chi lo leggerà?

L’ho scritto, come il primo libro “Permettimi d’insistere”, per il piacere della condivisione. Nel mio percorso di cambiamento ho acquisito una visione più moderna della vita, in linea con le mie nuove, stravolte, priorità e incentrata sulla vera ricchezza del terzo millennio: il mio tempo. È stato difficile ed entusiasmante. Pura vida! Lungo il percorso mi sono sempre sentito sulla strada giusta quindi ho scelto di condividerlo perché, per il mio modo di essere, ciò che ho vissuto è stato strepitoso. Mi piace pensare che, farlo, possa spingere altri a mettere in discussione loro stessi e il sistema che controlla le nostre vite.

Ciliegine sulla torta: la prefazione di Claudio Pelizzeni (Trip Therapy), la colonna sonora consigliata per la lettura in abbinamento a ogni capitolo e il bonus video-corso “Superare le paure di prendersi un periodo sabbatico” presente nelle prime 200 copie acquistate entro il 30 giugno 2021.

Chi desiderasse acquistare il libro, lo trova qui: https://amzn.to/3oWgiLi

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